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Associazione Zonderwater Block ex Pow

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 10 - 11 Settembre 2023 Raduno annuale del gruppo ZONDERWATER Block ex P.O.W.  – Roma

 Eventi (zonderwater.com)        

Raduno 2023

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IL RIMPATRIO - Pederzoli Luigi POW 18962 - di Emilia Pederzoli (Emily Spenser)

di Emilia Pederzoli (Emily Spenser)

POW 18962

Pederzoli Luigi

Sergente Maggiore Fanteria

nato a Gattatico (RE) il 30/06/1914

fatto prigioniero il 21/06/1941 a Gimma (Adis Abeba)

Campi di Prigionia: Campo Corse Addis Abeba , Kilindini Mombasa, Campo N.352 Naivasha Kenya, Eldoret, Nanyuki, Jinga, Nieri, Pietermaritzburg, Zonderwater

clicca sull'immagine per leggere inimage 9

-IL RIMPATRIO-

versione riveduta e corretta (dicembre 2021)

 

 

IL RIMPATRIO

L’ultima lettera da Zonderwater. " 7 Novembre 1946 Gioia mia infinita, ecco finalmente la notizia che tanto abbiamo atteso: ai primi della prossima settimana parto da qui per rimpatriare. Non so ancora la data d’imbarco, ma certamente prima della fine di questo mese. Il viaggio via mare potrà essere dai 15 ai 20 giorni, il che significa che potrò essere a casa per Natale. Appena sbarcati invierò un telegramma dove ti farò sapere dove e quando mi dovrai attendere, poiché tutto dipenderà dalla regolarità dei treni. Non vorrei farti attendere un paio di giorni alla stazione di Milano o Treviglio con il rischio poi di non incontrarci. La mia gioia è immensa, Amore mio, ma non posso sfogarla ancora...... Mi sembra quasi una burla, ma mi abituerò alla realtà man mano mi avvicinerò a casa. Mi troverai un pò spaesato e smarrito perché vengo da un mondo ben diverso, dove la vita non è vita, ma tenebra. Tuttavia conto di ambientarmi presto. La mia salute in questi giorni lascia un pò a desiderare per il frequente vomito e i disturbi allo stomaco. Sii allegra, amore mio, che ormai è finito lo strazio della separazione: baci a Ennio a tutti ......Aspettami per Natale. (non dire nulla ai miei) "

Luigi non arrivò per Natale: fu imbarcato sulla “Medina Victory” che attraccò a Napoli il 3 gennaio 1947. Non mandò nessun telegramma. Arrivò a Treviglio di notte sotto la neve e andò a cercare Barbara alla casa dei suoi genitori, ma lei già non abitava più lì.

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....... Sceso dal treno, si trovò sul piazzale della stazione, tutto innevato e strano per come se lo ricordava. Già, la stazione era stata bombardata due anni prima e ancora c’era un disordine bellico tutto intorno. Il nevischio e il buio confondevano tutto. Cercò di orientarsi. La villetta dei suoceri si trovava dall’altra parte del paese, sulla strada per Bergamo, se ricordava bene; del resto c’era stato solo tre volte durante il fidanzamento clandestino con Barbara, per scappate brevi, per vederla, per due parole, un bacio forse, di sfuggita. Si, perché il padre di lei, piccolo borghese, non accettava “quel soldatino”, conosciuto per caso in vacanza in montagna, del quale non si sapeva niente se non che era figlio di contadini della bassa emiliana, orfano di madre a tre anni, il padre si era risposato, tanti figli, e si, per carità, lui “aveva studiato” perché lo avevano messo in collegio per anni, ma ora anche i rapporti con la famiglia erano ai ferri corti. Come poteva sua figlia, così cara a lui, forse la preferita fra le quattro femmine, e diciamolo anche bella, educata, di buon carattere, essersi invaghita di un “molto onor pochi contanti”, che diceva di voler fare la carriera militare per assicurarsi un reddito, costruire un futuro, e così tante belle parole, ma nessuna vera sostanza. “Quando penso che eri fidanzata con l’Avvocato R., una delle prime famiglie di C.! Potevi avere tutto, ma no, non ti stava bene. Hai visto tua sorella come si è sistemata, fa la signora lei, ha la cameriera, guida l’automobile, fa le vacanze al Lido. Si certo anche lei è molto carina, ma che carattere difficile! eppure, quando Giovanni l’ha chiesta in sposa si è detta onorata di entrare nell’altra famiglia più importante di C. E poi, questo tuo soldatino fosse almeno bello, ma no ti vede santiddio che l’sè tuto scanchio, tuto stortignaccolo?” passava direttamente al veneto, sua lingua natia, quando perdeva la pazienza. Per quanto l’avessero trasferito a destra e a manca per i suoi incarichi di daziere per mezza Italia, lingua e cultura padovane avevano continuato a sprizzare vitalissime dai suoi discorsi, conditi con citazioni teatrali, declamazioni dei suoi poeti preferiti, Dante e Metastasio, intrattenendo dopo cena i figli cantando brani d’opera, e dando così forma a un lessico familiare, inconsapevolmente tramandato poi alle generazioni successive.

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Luigi si tirò su il collo del pastrano infiocchettato di neve, rimise il sacco in spalla e si avviò sul viale. Andava immaginandosi l’incontro con lei, con il figlio che aveva già più di 6 anni , come sarebbe stato? e i suoceri cosa avrebbero detto, cosa pensavano davvero di lui ? Per tutti quegli anni aveva avuto tutto il tempo per ripensare a tutto. Aveva scritto anche un diario ed era arrivato a quasi 300 pagine quando in un trasferimento da un campo all’altro glielo avevano sequestrato. Rovelli nella sua testa ne aveva avuti tanti, ma quello “forse per Barbara non era stata una fortuna incontrarmi” non era ancora risolto. Lei era entrata nella sua vita quando l’Africa era già nei suoi progetti di sopravvivenza e lo attendeva un anno e mezzo di duro addestramento in lontane città in Piemonte, Aosta, Lazio e solo lettere su lettere, foto, cartoline e un paio di incontri, avevano alimentato i loro sentimenti. Poi la partenza. Barbara aveva ottenuto il permesso di salutarlo alla stazione in presenza del padre e di uno zio ed erano riusciti a baciarsi sul predellino del treno che lo portava via, a Napoli per l’imbarco. Un bacio rubato, per non dimenticare.

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Poi ancora lettere. Anche per ottenere il consenso alle nozze aveva messo nero su bianco impegni e promesse di come si sarebbe preso cura di Barbara per darle la vita che si meritava, quella che anche lui desiderava per lei. E poi come era finita? Si erano sposati per procura e lei lo aveva raggiunto in Etiopia, finalmente coinvolta nella sua avventura africana. Lui aveva preparato una casa con tutto il necessario, l’arredamento coloniale, i servitori di colore, il giardino e non mancava il grammofono che al mattino, quando lui la svegliava col caffè, inondava la casa con le note dell’Ave Maria di Mendelssohn. Era stato un anno felice quello e felicissimo quello dopo con la nascita di un figlio, e anche la vita di colonia, le cene, i colleghi di lavoro, tutto.

D’improvviso la guerra: la mobilitazione, l’indossare di nuovo la divisa, e quindi combattere, arrendersi, scappare nel bush o consegnarsi? Lo vennero a prendere una mattina di giugno con la camionetta. Fu un addio straziante, non volevano separarsi. Nel giardino la fedele Mohamma e il giovane Gabrè li guardavano attraverso le lacrime senza capire fino in fondo cosa stesse succedendo, mentre loro due stavano abbracciati con il bimbo quasi schiacciato fra di loro, piangendo, baciandosi, facendo finta di darsi forza. Un colpo di clacson e dovettero staccarsi. Era finita. Barbara rimase lì immobile col neonato in braccio, mentre l’auto partiva. Lasciava andare le lacrime e scuoteva la testa, no, non l’accettava, non lo avrebbe mai accettato.

L’auto si stava allontanando quando Gabrè cominciò a correre sulla strada sterrata, correva con le braccia alzate, piangeva e gridava “Padrone, padrone, vengo con te!” correndo sempre più veloce per raggiungere la camionetta “No, Gabrè non puoi!” ma non smetteva, continuava a correre a correre “Basta Gabrè, basta, torna indietro, torna a casa!” non voleva ascoltare e correva, correva a perdifiato, fino a quando la velocità dell’auto fu superiore a quella delle sue giovani gambe e si afflosciò a terra.

Ci mancava anche Gabrè per rendere quel distacco ancor più struggente, insopportabile. Nella sua testa però c’era l’immagine di lei, nel giardino, il piccolo in braccio: lei si sentiva abbandonata, lui questo lo sapeva. L’aveva trascinata laggiù e ora la lasciava sola in mezzo all’ignoto.

Da quel mattino di giugno erano passati cinque anni e mezzo! quanti lunghi giorni, quante sofferenze, nessuno allora poteva immaginare che sarebbe stato un tale interminabile calvario! ma basta pensare, ora la guerra era finita per tutti, lui era tornato, sarebbero stati di nuovo uniti, questo contava. Si trovò davanti al cancello, suonò e la casa nel buio si accese. Il tempo di percorrere il vialetto, e sentì il rumore del catenaccio, la porta si scostò e apparve la testa bionda di Milly, la più giovane delle cognate ancora in casa con i genitori. I suoi occhi azzurri scrutavano il buio e appena lo riconobbe gli saltò al collo con l’esuberanza dei suoi vent’anni, saltellava persino dalla gioia, non smetteva di abbracciarlo e facendolo entrare gridò verso le scale “Papà mamma guardate chi c’è! “.

Furono subito altri abbracci, lacrime di gioia, sguardi commossi, stupiti, mentre lui cercava altri visi. “Ma come, non sai? Allora non hai ricevuto le ultime lettere? Barbara ha trovato una casa tutta per voi per quando arrivavi.

Sono quasi due mesi ormai ed è proprio là vicino alla stazione. Che peccato, hai fatto tutta questa strada con questo tempaccio e ora... ma siedi, ti prepariamo qualcosa.” No, non si sentiva di mangiare, ma si, un pò di latte caldo forse ci voleva, grazie. Lo circondavano di premure, visibilmente emozionati, lo guardavano muti “Vengo con te! Ti accompagno io a casa!” proruppe Milly e in un attimo aveva messo il cappotto e la sciarpa sulla testa. Furono di nuovo abbracci commossi “Va dalla tua famiglia adesso - disse il suocero - domani festeggeremo tutti quanti insieme. Ben tornato!”

Continuava a nevicare e che freddo lì fuori, pensava Milly che però per niente al mondo si sarebbe persa la visione della felicità di sua sorella. Lo prese sotto il braccio facendogli strada. “E’ stata dura anche qui sai, cose tremende. Io ho passato i miei guai con i partigiani e poi sono venuti anche a casa a cercare Aldino. Povera mamma, che spaventi, e papà in pena per tutti. Gino in Grecia, Peppino in Albania ...per fortuna siamo tutti vivi: l’importante alla fine è portare a casa la pelle. Barbara è stata bravissima in tutto e a noi non è mancato il necessario, neanche il caffè, persino i sigari per papà, e tutto grazie al tuo stipendio che è stata una manna dal cielo. Ti siamo grati per tutto quello che hai voluto fare per noi.”

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Lui sorrideva, ma si capiva che non era in vena di parlare. “ Chissà quando ti vedrà Ennio! E’ un caro bambino sai e tu sei il suo grande eroe. Lo sai che alla sera prima di dormire, invece delle fiabe, voleva che Barbara gli leggesse le tue lettere e quando le lettere non arrivavano, lei ne prendeva una vecchia e si inventava il tuo scritto, finché lui si addormentava. Ah ah , e che ridere quando giocava e voleva venire in Africa con l’aeroplano a bombardare gli inglesi per liberare il suo papà! E ti ricordi quando hai mandato a trovarci quel tuo compagno di prigionia...”

Certo, che si ricordava, Lumasini, era stato rimpatriato parecchi mesi prima da Zonderwater e lui gli aveva chiesto il favore, appena poteva, di portare notizie a Barbara su come era la situazione al campo e dirle a voce anche quelle cose che non poteva scrivere nelle lettere. ”Ha portato la tua lettera e mentre lui e Barbara parlavano, io ero in giardino con mamma e Ennio e ho detto che era venuto un soldato prigioniero. Lui si è messo a correre gridando “papà papà “ è entrato in salotto ed è andato verso quell’uomo, poi quando lo ha visto in faccia si è bloccato e ha esclamato deluso “ma questo non è il mio papà!”. Povero bambino, non vede l’ora di vederti, ti vuole tanto bene.”

Gli sembrava non arrivassero mai, si sentiva tutto intirizzito.

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Che follia era stata in quell’ormai lontano giugno del’41, illudersi che tutto si sarebbe risolto presto. Barbara era stata davvero coraggiosa ad affrontare da sola tutte le vicissitudini di quegli anni. Fin dai primi mesi la vita dei civili rimasti in Etiopia era apparsa a rischio.

Lei era rimasta nella casa di Gimma nonostante il pericolo delle incursioni di ribelli e boscimani. Mohamma le raccontava storie paurose di certe tribù di predatori e diceva che fra loro c’erano anche cannibali, lo si vedeva dalla forma aguzza dei loro denti! Un pomeriggio un manipolo di quattro o cinque razziatori aveva fatto irruzione nella casa. Barbara spaventata non aveva fatto in tempo a muoversi che quello, che doveva essere il capo, le aveva strappato dalle braccia il neonato, con non si sa quali intenzioni, e poi aveva cominciato a guardarsi attorno in cerca di qualcosa. Lei, notando che aveva posato lo sguardo su una cartucciera appesa li nell’ingresso, l’aveva con gesto rapido staccata dal muro e gliela aveva gettata addosso e in quel’ attimo, cogliendolo di sorpresa, era riuscita a riprendersi il bambino e a scappare dal retro della casa verso la boscaglia. Nel giro di un mese era stata costretta a cercare rifugio ad Addis Abeba, in casa di amici dove vivevano asserragliati e col cibo razionato. Poi il campo di concentramento con le malattie, la penuria di cibo e medicinali, i bambini che morivano, le donne che si disperavano; lei no, non si perdeva d’animo, anzi faceva forza alle altre. Dopo un anno di stenti in quella reclusione il Papa stesso si era preso a cuore la sorte di quelle donne e quei bambini e aveva inviato le famose navi bianche della Croce Rossa.

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Con il bimbo al collo, una sacca e due cuscini che servivano da giaciglio affrontò anche le fatiche dei trasferimenti e degli accampamenti fino all’imbarco e quindi il viaggio in mare, reso interminabile dalla forzata circumnavigazione e molto rischioso dai frequenti siluramenti di nemici e alleati.

Bisognava portare a casa la pelle. Era stata accolta dai genitori, aveva ricominciato a lavorare nell’ufficio del padre, cresceva il figlio, si prendeva cura dei suoi, delle necessità di tutti e aspettava, piangeva e aspettava in quel tempo sospeso e buio che la guerra imponeva a tutti.

Aspettava il ritorno di lui, aspettava le sue lettere, lottava contro ondate di disperazione e aspettava, aspettava la fine della guerra, aspettava di vivere. Luigi ne era convinto: era lei che aveva combattuto la guerra vera, la fuori nella vita reale, in tutti quegli anni, mentre lui era un prigioniero inerme dietro i reticolati. Doveva a lei la sua volontà di resistere alla prigionia, lo doveva al loro figlio, al loro amore più forte di prima, si, tutto quello che davvero contava era ancora salvo e vivo grazie a lei.

Certo, fra loro non era stato tutto facile e ancora c’erano in sospeso un paio di incomprensioni. Una era l’essersi consegnato agli Inglesi: lei lo aveva vissuto come un abbandono; non capiva che era un ordine e lui doveva ubbidire? lui era un militare! e quale era l’alternativa? scappare? non sarebbe uscito vivo dal bush!

L’altra era stata la sua scelta di non cooperare. Lei non se ne capacitava: invece di pensare a ottenere dei benefici, poter lavorare, tornare prima magari, lui si metteva contro tutti con la sua testardaggine! ma non veniva la famiglia prima di tutto?

Spiegare certe decisioni non era stato possibile per lettera, farle capire che non era stata testardaggine la sua. Tutt’altro ! Ora, guardandola negli occhi, avrebbe potuto raccontare le circostanze e chiarire anche questo fra loro, o forse no, meglio tacere.

Con tali pensieri non si accorse che avevano passato il piazzale della stazione ed erano entrati nella casa di mattoni rossi. Sentì Milly parlottare e poi un grido soffocato. Lei gli apparve come una visione velata da mille emozioni che li inchiodarono per un attimo immobili, a guardarsi con occhi ancora increduli, lucidi di gioia e poi in pochi passi furono uno nella braccia dell’altra a stringersi forte, e finalmente piangere, piangere, com’ era bello adesso piangere.

Milly guardava quei due e non poteva trattenere le lacrime. Loro non si staccavano, niente e nessuno li avrebbe più separati. Come era felice per sua sorella! ah e il bambino!? doveva svegliarlo, ma con cautela, spiegargli come mai.... non ce ne fu il tempo. Appena aperti gli occhi Ennio si era precipitato in cucina e fra lo stupore di tutti aveva esclamato “ Questo si che è il mio papà!! “ ed era corso incontro a quel ruvido pastrano di due taglie più grandi che rimpiccioliva ancora di più il suo eroe, pallido e senza muscoli, al quale però sentiva di volere tanto bene.

Quando negli anni a venire Barbara raccontava di quell’abbraccio infinito fra padre e figlio, non riusciva a descriverlo fino in fondo, la commozione la inondava, scuoteva la testa e ripeteva “Una cosa da non credere .....”.

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Luigi Pederzoli - 1939 Gimma A.O.

Luigi Pederzoli - 1939 Gimma A.O.

 

FOTOLIBRO - Luigi Pederzoli "Iimmagini da una storia unica come tante altre" POW 18962 - Album di Emily Spenser (figlia)

LIBRI DI SCUOLA di Luidi Pederzoli POW 18962 a Zonderwater

 

 

 

 

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