Lunghi Mario POW - "Che mitragliade ragassi!"

Lunghi Mario POW  nato a Maiano di Sant'Angelo Lodigiano (Lodi) - 

"Che mitragliade ragassi!" da un racconto tratto dal libro " Quando c'era la guerra - testimonianze della seconda guerra mondiale"  https://www.nautilaus.com/grb/guerra/lunghi.htm

Testimonianza raccolta da Giuseppina Rognoni Bassi
"Ho scoperto che gli ospiti della Casa di Riposo 'Santa Francesca Cabrini' di Sant'Angelo hanno tanto da raccontare e insegnarci", scrive Giuseppina Rognoni Bassi a conclusione della sua raccolta di testimonianze orali sugli anni della seconda guerra mondiale. E in effetti leggendo queste belle pagine di ricordi e memorie, non le si può dare torto. Gli anziani sono per loro natura delle fonti storiche viventi. Essi continuano a rappresentare la memoria storica degli eventi del nostro tempo: una memoria cui spesso - troppo spesso! - dimentichiamo di dare la parola...   (dalla pagine web https://www.nautilaus.com/grb/guerra/guerra_prefazione.htm)

(Il ricavato del libro andrà a favore della casa di riposo di Sant'Angelo Lodigiano) -  email  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.  

 

( Abissinia Lago Tana ) prima parte

Quando è partito per la guerra?
Non lo ricordo. So che ero di leva. Da Verona mi hanno mandato a Livorno e da lì a Bengasi in Libia, con la nave "Toscana". Non c'era ancora la guerra, a quei tempi. La guerra è cominciata quando ero a Mogadiscio, in Somalia e quando sono andato a Gondar, in Etiopia, nell'Africa Orientale. Bèi paisi quei lì, ragassi!
Ma di quale guerra parla?
Ne ho fatte due di guerre: quella dell'Abissinia del '36 e quella del '40.
Al Lago Tana, vicino a Gondar, sono stato fatto prigioniero dagli Indiani che combattevano insieme agli inglesi. Ma quèste l'è stai dopu.
Proprio su questo grandissimo lago stavano fabbricando le motonavi "Il San Nicola e il San Giorgio". Come erano belle! Interquèl è ruvade el Negus con suo figlio, appositamente per vederle.
Un giorno ho chiesto al mio Capitano:
- Signor Capitano, mi manda a fare una passeggiata con la motonave?
Io volevo fare un giretto per truà un chi cossa da mangià, o meglio, per "rubare" il riso, la pasta, lo zucchero dalla stiva delle motonavi dei negri. Loro ne avevano in grande quantità perché la portavano al mercato di "Bardad". Cume l'èra gross!
Lei mi ha detto che andava a "rubare" il riso, la pasta.....
Sì per i soldati in caserma.
Allora la mandava il suo capitano?
Sì, ma mi diceva: mi raccomando! Non portare via proprio tutto. Il capitano l'èr von de Milàn abitava vicino a Teresa, la cugina di mia moglie.
Quando son tornato dal mio giretto,
- Signor Capitano, -gli ho chiesto- mandi qualcuno ad aiutarmi a scaricare!
- Ma cosa hai fatto! - mi ha detto quando ha visto la mia motonave.

Lunghi Mario POW

Lunghi Mario mostra con orgoglio le due croci di guerra
e le due medaglie al valore per le campagne in Libia e in Africa orientale.

- Hai portato via tutto a quei poveri negri! Come sei riuscito a prendere tutta sta roba? - - Col bambù! Ho messo la cannetta del bambù nei loro sacchi pieni di riso, farina, zucchero, fagioli ..... e sensa fa fadiga, è ruvade tute cos sulla mia camionetta .

- Non hai lasciato più niente a loro da vendere!
- Mangiamo noi e loro si arrangiano!
Mai i reclamèvun i Nègri. Mai!
Lì al Lago Tana ho preso il premio; mille lire mi hanno dato perché ho salvato un bambino di quattro anni. Stavano mitragliando, quando ho visto un fiulen 'ndà par lu, in mezzo alla strada. Era il figlio del tenente della posta dei Carabinieri.
Ho fatto un salto e gli son saltato addosso. Ma io sono stato colpito da un proiettile alla gola. Vede? Ho ancora i segni!
Mi hanno portato ad Asmara all'ospedale Regina Margherita per medicarmi perché, dove eravamo noi, c'era l'ospedale, ma ghèra gnèn per medegà (ma non c'erano medicine). Sono stato trenta giorni senza parlare.
Veramente, come ha fatto?
Non parlavo proprio. Capivo tutto, ma non riuscivo a parlare. Me tuchèva farfuià e desbruiame (dovevo farfugliare e sbrigarmi con le mani). Una volta guarito, son tornato al campo. Dopo pochi giorni c'e stato il mitragliamento. Mamma che roba! Che mitragliade, ragassi!
La motonave l'èr ta me 'na gratirola! (grattugia). Che spavento! Noi avevamo il quadro della Madre Cabrini: si è salvato solo quello. Non aveva neanche un buco. Volevo saltare nel mare, come gli altri soldati, ma ho sentito una voce:
- Se te fè, che te sèn bun nò da nudà? Se te vè indrèn te neghi!
L'èr de sicur la Madre Cabrini; non c'era più nessuno sulla nave. Gli altri soldati erano già saltati tutti dentro!
Allora son rimasto lì; ed è stato il momento in cui son stato ferito, qui al braccio: non c'era più niente sulla motonave! Più niente! Né bussole, né corde d'acciaio, più niente!
E' arrivato un idrovolante a tome (prendermi); mi ha caricato e mi ha portato prima in caserma e poi ancora ad Asmara. E così sono andato un'altra volta all'ospedale.
E lei che è capace di fare tutto, non sa nuotare?
E no, non son capace! Ed ero nel genio pontieri: tutto il giorno nell'acqua fino al collo. Eppure niente! Sèri bun nò da nudà! Non sapevo nuotare! Si lavorava nell'acqua con le sapète ( zappette). Si tagliavano le piante e si facevano i ponti. Ne abbiamo costruito uno proprio bello.
Una volta è passato il Duca d'Aosta in macchina col suo autista.
- L'avete fatto voi?- ha domandato.
-Sì, Eccellenza! L'abbiamo fatto noi questo ponte.
- Bravi, Bravi!
Quando son tornato dall'ospedale il Capitano mi ha chiesto:
- Ti senti di andare alla "Sussistenza" a fare la spesa?
Mentre facevo la spesa : tantu de ris, tantu de pasta,..... tantu de carne.... , ò sminciade (ho intravisto) una botte di anice. Allora ho detto ai fioi che erano con me:
-Voi preparate le assi, e noi la facciamo sguià (scivolare) sul nostro camioncino.
L'abbiamo coperta con un cuertòn e poi ho detto:
- Ragazzi, togliete le assi che torniamo in caserma!
-E se fème maron? (e se ci scoprono?)
-Na fèmu mia de maron!
Appena arrivato in caserma:
-Capitano, domani beviamo l'anice!
- Perché?
- Ha visto la botte sul camion?
-Anche questo mi hai fatto! Qualche volta andrai a finire male!
- Se non mi denuncia lei, nessuno lo può fare!
Lei ha detto che è stato fatto prigioniero dagli indiani.
Sì. Durante un combattimento al lago Tana. Sono arrivati una mattina. Erano tanti, erano con gli inglesi. Avevano camion, autoblinde, carrarmati..... parlavano in inglese.
Il nostro Capitano ha radunato i soldati.
- Ragazzi state calmi. Fate quello che vi dicono. Non muovetevi, non fate movimenti strani. Mi raccomando: fate quello che vi dicono!
Ha ritirato forbici, lamette, coltelli. E noi li buttavamo in un cantòn. Gli indiani hanno controllato i nostri zaini e in seguito ci hanno portato in un campo di concentramento.
Quando sono arrivato, lui, il Duca d'Aosta, era già là. Appena l'ho visto, ho pensato:
- Ma quèste chi lè no quèl che lè passade sul punte con la macchina e l'autista?
Mi sono avvicinato a lui e gli ho chiesto:
-Ma lei è il Duca d'Aosta?
- Si sono io!
E insì ò fai l'attendente del Duca, el noste Vicerè.
Ero in tenda con lui, perché il generale non ha voluto andare nelle belle ville come gli altri Ufficiali Superiori; ha preferito stare con i suoi soldati e mangiare come noi. Sempre patate americane.
Brava persuna, el Duca! El tratèva i suldà cume i so fioi!
Ma erano tutti bravi gli ufficiali, tutti, tutti.
Andavamo a prendere l'acqua tame da chi a San Clumban. A piedi. Caricavamo dieci, dodici, tredici borracce; ma prima di arrivare al campo di acqua non ce n'era più; la bevevamo tutta. Non era brutto stare in campo di concentramento.
Il Duca d'Aosta è rimasto poco con noi: subito dopo, è stato trasferito con gli altri ufficiali ed era lui che comandava.

 

Zonderwater Sud Africa

"Che mitragliade ragassi!"
MARIO LUNGHI
Zonderwater (seconda parte)


Da lì mi hanno spedito a Zonderwater, in Sud Africa, vicino a Johannesburg. Come era grande quel campo! Veramente i campi erano cinque, ma formavano un blocco solo.
In ognuno di essi si organizzavano tutti gli sport che volevi! Atletica, box, corse a piedi, partite di calcio: tutto, tutto c'era. Ogni tanto si effettuavano gare.
Facevano persino el tiater (teatro). Un certo Marchi di Livraga, si è preparato la parrucca con la barba d'la mèlga e quando si vestiva, sembrava una donna davvero, ma bella però!
Teatro, sport! Era bello star là!
Mi dimenticavo persino di tornare a casa dal gran divertimento che c'era. Era un'altra vita davvero! Le nostre baracche erano proprio belle. Credèvi mai di essere trattato così bene!
I tedeschi erano in un campo da soli ed anche i fascisti erano in un blocco diverso da noi prigionieri di guerra italiani.
A turno, dovevamo fare le pulizie. Ma i tedeschi non volevano assolutamente lavorare. Loro non si muovevano. Ma li hanno messi bén alle strette! Cara la me sciura! I ghe dèvun de cle batude e ghe tuchèva fai!
Andavamo a pulire anche il campo delle ragazze nel reparto aviazione. E ci pagavano bene. Le donne ci offrivano biscoti, ciculati, caramèle, de tute le generassion. C'era anche la figlia del tenente colonnello dell'Aviazione. Come era educata!
E obbligati a scrivere a casa. Guai se non scrivevamo! Ogni quindici giorni c'era il bagno e la disinfezione. Si comprava la roba allo spaccio con i gettoni che vendevano gli incaricati. Noi invece toglievamo il fondo dei pennelli della barba e li usavamo come gettoni perchè avevano la stessa forma e lo stesso spessore degli altri. E insì mangèvème a maca, gratis.
Ma come faceva a trovarli sempre?
Li raccoglievamo quando andavamo a portare via le immondizie.


Sa che qualche anno fa, sono andata in Sud Africa? E mio zio Colombo, residente laggiù ormai da una vita, mi ha confermato che veramente Zonderwater nel Transval era il più grande ed importante campo di prigionieri di guerra, coi suoi novantamila prigionieri. Mi ha anche detto che, ogni anno, la prima domenica di novembre, vi si celebra una solenne messa , in memoria dei prigionieri di guerra morti laggiù. Sulle loro tombe vengono deposte corone con la fascia tricolore. A questa imponente commemorazione partecipano gli ex prigionieri di guerra che abitano in Sud Africa, le autorità locali, gli Ufficiali dell'esercito e i membri dell'Ambasciata Italiana al completo. Si può anche visitare il "museo artigianale" allestito esclusivamente con materiale di recupero. C'è esposto di tutto: dai violini costruiti

A Città del Capo, in questa occasione, viene chiuso il club italiano, fondato dagli ex prigionieri, che finita la guerra hanno preferito fermarsi in Sud Africa. Poi tutti uniti si va ad ascoltare la messa al campo, poco distante dalla Città e alla fine ci si ritrova nel parco per il "pic-nic dei morti". Laggiù novembre è primavera.
con fiammiferi ai porta sigarette e posaceneri in argento fuso ricavato dalle monete "tickey", (valevano tre centesimi).

L'è vira. Anch'io ho fatto le cinture con la cudega del larde. La facevo seccare e poi la intrecciavo. E belle anche erano le mie cinture!
Von de Busanmarten, el ciapèva de cle stope! Che cioche fioi! Non mangiava, ma beveva sempre!. Bèn, quel lì, faceva le valige de tola, 'na belèssa! Con le latte di conserva e della frutta sciroppata. S'la vedèva che valise! Ma di quelle speciali! Lustre (lucide) erano! C'era chi le comperava per tornare a casa o da far vedere al paese.. Bèle, bèle, dabòn!
Poi mi hanno mandato in una "farm", fattoria. Lui, il padrone, era un "Vescovo tedesco" e lei una sudafricana. Faceva le carte geografiche. Che bei lavori faceva!
Cosa faceva nella fattoria?
Lavoravo nei campi. Andavo a raccogliere limoni, arance, angurie; disinfettavo le pecore col verderame, per togliere le zecche. Lì, ho fatto il vero signore, olter che! Se stèva propi bèn che l'èra 'na belèssa. Son rimasto lì tre anni. Perchè avevo le sorelle, il papà, la mamma, altrimenti mi sarei sposato là.

Lei è stato veramente fortunato a lavorare in una farm. Altri prigionieri, invece, sono stati destinati a lavori più pesanti. Me ne sono accorta, quando ho notato, sempre in Sud Africa, una lapide scritta in inglese: ricorda ai turisti che quella strada, quasi strappata alla montagna, è stata costruita dai prigionieri di guerra italiani.

Sono stato fortunato anche perchè la mia padrona la me tratèva bèn e poi era educata, e bella. Aveva il marito vescovo luterano, ma anche il cognato come amante. Stavo bene con c'la fiola là!
Un prete italiano mi ha portato con la sua macchina nella chiesa cattolica, per far vedere, che anche gli italiani andavano a messa: i negri, quando mi vedevano, i se segnèvun, i me basèvun fina i pe, perché ghèvi el crusén al col (facevano il segno della Croce, mi baciavano persino i piedi, perché avevo la crocetta al collo). Mi correvano incontro. Era bello vederli correre verso di me! Il prete mi ha detto:
-Devi venire a messa tutte le domeniche!
Ma io non potevo! Senza il permesso della mia padrona non potevo proprio!
Perché la "padrona" non le dava il permesso?
- Fatti venire a prendere! - mi diceva.
Lei non aveva il tempo di accompagnarmi. Pora fiola! Mi portava in giro in tante città diverse per farmi visitare le bellezze del Sud Africa. E mi faceva assistere a tutti gli sport , tuti, tuti, anche le corse in macchina... A me non piaceva il rugby ... i se massèvun in de chel gioghe lì.
Facevo anche el coghe (il cuoco). Quando i miei padroni hanno assaggiato la pastassuta, el risòte, el minestròn, la pulènta, sembrava non avessero mai mangiato, dicevano che lèr pussè bon el mangià italian. Loro di solito mangiavano la mèlga cotta, i fusi cotti e pan, butér e marmelada ... Io non so come facevano a vivere.
Dicevo alla mia padrona:
-Nome la mèlga glà dème ai nimai!- (la mèlga la diamo ai maiali)
Come legna usavano lo sterco di vacca, e quando la buttavano nella stua, (stufa) mama mia, che brutu udu (brutto odore)! Non si poteva stare in casa!
Una volta la padrona mi ha detto:
- Vieni con me nel campo dei prigionieri a prendere altri soldati per farli lavorare nella mia fattoria! Io ho cercato quelli di Sant'Angelo: il figlio di Gian Maria, Quaini Antonio, Daccò Giuseppe de la Costa, Ramaioli de La Pesgunela e tre di Lodi: Ferrari, Bellocchio e l'altro .... sono stato anche a casa sua a dormire. Aveva una latteria vicino a Capra. Era tanto bravo sto por fiulète, ma non ricordo più come si chiama! Speta, speta che me regordi: l'èra Grazioli Carlo.
"E' gnude el mumènte da 'nda a cà" .
Si ricorda in quale anno?-
No, no, non mi ricordo più!
La mia padrona non voleva proprio che 'ndèvi via. Mi diceva:
- Resta qui con me: ci sposiamo!
E io le rispondevo:
-Non cambio religione!
-La cambio io- replicava.
- Devo andare a vedere la famiglia, la mia mamma, il papà, le sorelle....
Ma lei non voleva capire. So che, mumènti, mumènti mi faceva perdere le nave.
Alla fine sono riuscito ad imbarcarmi, e sono arrivato a Napoli, nel campo di smistamento. Ho dato tre pacchetti di sigarette al cape per farmi compilare alla svelta la carta de viage per Lode. A vède le sigarète, la fai bèn a la svèlta a fame la carta! Son salito subito sul treno. Ma a Lodi, el treno el s'è fermade no.
Il bigliettaio mi ha detto:
- Va tanto piano che puoi anche saltare giù!
Aveva proprio ragione. Ho buttato la valigia fuori dal finestrino e poi ho fatto un salto!
Ho preso la strada per Sant'Angelo e a piedi sono arrivato a Maiano. Quando ho visto el campanén del me pais, mè girade la testa e son 'ndai in tèra per l'emussion. Lè una roba al munde..... Sono caduto proprio vicino al portone della cascina di Gallotti: E' uscito el fitaul, el sciur Gallotti. Che bravo uomo! Ha ordinato ai suoi famèi (mungitori) di portarmi in cascina, mi ha fatto mettere sul letto del capufamèi e ha detto:
- Fate qualcosa di caldo a ch'el por fiol chi, ch' la ghe passarà!
Alle cinque e mezzo di mattina ero in piazza e volevo andare in chiesa, per vedere se c'era mia mamma. Invece sono andato subito a casa. In cortile, son scapusade in un tumbén, son burlade in tèra. Orcu che vul ò fai! O trai una saraca, ma de quèle grosse! Nò mai trai in sì grosse! sono inciampato in un tombino e son caduto.
Mio papà ha sentito.
- Su fioi, ndème fora ch'è ruvade la bucagnassa de voste fradèl. (Usciamo che è arrivato quella boccaccia di vostro fratello).
- Chi l'è quèste papà!- La me Minchina l'à dì.
- To fradél , el vèn a cà da presuné.
- Preparèghe subite l'utumana e lassél durmì. (Preparategli subito il divano e lasciatelo dormire).
Ma io non sono riuscito a dormire sul divano. O' slargade la cuèrta in tèra: te crèdi, e me son butade su, se ò vursude durmì. (Ho steso la coperta in terra e mi vi sono sdraiato se ho voluto dormire). E mi sono addormentato de culpu. Strache stanco come ero di treno, di nave, e da gnì a ca a pe da Lode.
Ciamèl no! Lassèl durmì.- diceva mio papà.
Poi lui è andato a lavorare; non è stato a casa.
Nella valigia avevo le sigarette, la pipa per mio papà, el quader d'la Madre Cabrini. Mio papà el me fa:
-Anca quèl te ghèvi adré?- (anche quello avevi portato)
- Si papà glèvi adre anca lù.
L'èra tute giuste, vèder, curnis gnèn ghèra de rute. (era intatto, vetro, cornice, niente era rotto)
Dopo, l'ho appeso in casa. Tutte le mattine lo spolveravo e guai a chi là tuchèva!
Intanto erano arrivate tutti gli zii e le zie.
Mi avevano detto che da Oppio e da Don Nicola i dèvun via le mude (distribuivano i vestiti) per i reduci. Sono andato anch'io. Ma, per me ghèra pu gnèn. Allora Don Nicola mi ha detto.
- Vieni con me!- E mi ha portato dal Teston, el sarte per fàrmi confezionare una muda su misura. Gli ha detto:
-Te racumandi, fàgla subite!
- Si, sì, "lassi indré i tabari (mantelli) e glà fò-. Lavorava bene chel ome lì!
Don Nicola, pover ome, me el desmèntighi pu! No, no, ne le urassion (le preghiere) el desmèntighi no! Pover ome! ghèr da basaghe la tèra 'ndel metèva i pe! (Bisognava baciare la terra dove metteva i piedi). De Don Nicola ghe na vèn pu. No!
Quando è morto, mi son fatto dare il permesso dal sciur Angel Manson per andà adré al funeral.
El sciur Angel el mà dì:
-Dovrei chiudere e mandare tutti al funerale, ma non posso fermare la fabbrica! Gò tanti laurà in bal! Va ti!

 

I reparti superstiti e completamente isolati del nostro esercito coloniale, al comando del duca d'Aosta, si arrendono 19 maggio del '41, dopo un'eroica resistenza. L'ultima guarnigione (foto in alto) dell'Africa Orientale che resiste fino al 27 novembre è quella di Gondar.